Formuliamo la presente in relazione alla notifica di regola tecnica in oggetto, al fine di evidenziare la nostra preoccupazione per l’introduzione di nuove restrizioni al commercio di prodotti di salumeria, le quali, a nostro avviso, non risultano conformi al diritto dell’Unione europea.
I profili di criticità dell’attuale testo del progetto riguardano, in particolare, il suo Capo V, contenente una nuova disciplina – non prevista nel decreto ministeriale 21 settembre 2005, attualmente vigente – che intende istituire la denominazione “Bresaola”, riservandola ai prodotti conformi ad una serie di requisiti ivi indicati.
Tali regole, ove adottate, determineranno un’ingiustificata ed irragionevole limitazione all’ambito dei prodotti commercializzabili come “bresaola”, soprattutto, per quanto di diretto interesse per gli scriventi, nella parte in cui escluderanno la possibilità di ottenere questi salumi dalla carne di suino, attraverso le seguenti disposizioni:
- “(...) la denominazione «bresaola» è riservata al prodotto di salumeria ottenuto da carne fresca bovina o equina o di cervo (...)” (articolo 29, comma 1);
- “È di colore rosso uniforme per la parte magra (...)" (articolo 32, comma 1), posto che l’impiego della carne suina determina un colore “rosato” nel salume;
- “Il prodotto ricavato da animali diversi da bovino, equino e cervo o dai tagli di bovino, equino e cervo di cui al precedente comma 2, non è commerciabile con la denominazione «bresaola» o con termini similari o direttamente o indirettamente evocativi di tale denominazione” (articolo 34, comma 2).
Riteniamo che una regolamentazione di questo tenore sia incompatibile con la normativa unionale, per le ragioni illustrate di seguito.
1. Violazione del regolamento (UE) 1169/2011.
La disciplina della “bresaola” prevista nel progetto di regola tecnica si pone in contrasto, in primo luogo, con l’articolo 38, paragrafo 1 del regolamento (UE) 1169/2011, secondo il quale “quanto alle materie espressamente armonizzate dal presente regolamento, gli Stati membri non possono adottare né mantenere disposizioni nazionali salvo se il diritto dell’Unione lo autorizza”.
La materia in esame è da ritenersi, infatti, già armonizzata dagli articoli 7 e 17, in combinato disposto con l’allegato VI, parte A, paragrafo 4 del medesimo regolamento, in base ai quali:
- ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, i prodotti alimentari, in mancanza di una denominazione legale, sono identificati dalla loro “denominazione usuale” (definita dall’articolo 2, paragrafo 2, lettera o) come “una denominazione che è accettata quale nome dell’alimento dai consumatori dello Stato membro nel quale tale alimento è venduto, senza che siano necessarie ulteriori spiegazioni”) o, ove questa non esista, da una “denominazione descrittiva” (ossia, ai sensi dell’articolo 2 paragrafo 2, lettera p), “una denominazione che descrive l’alimento e, se necessario, il suo uso e che è sufficientemente chiara affinché i consumatori determinino la sua reale natura e lo distinguano da altri prodotti con i quali potrebbe essere confuso”);
- ai sensi dell’allegato VI, parte A, paragrafo 4 (cui rinvia l’articolo 17), nel caso di alimenti in cui un ingrediente che i consumatori presumono sia normalmente utilizzato sia stato sostituito con un diverso ingrediente, l’ingrediente utilizzato deve essere riportato in prossimità della denominazione;
- ai sensi dell’articolo 7, gli operatori sono tenuti a fornire ai consumatori informazioni che non li inducano in errore relativamente all’identità, alla natura ed alle qualità degli alimenti.
L’espressione “bresaola” rappresenta, per l’appunto, una denominazione ampiamente nota alla generalità dei consumatori, ricondotta a salumi ottenuti da carne di varie specie animali, inclusa la specie suina. Al riguardo, a titolo meramente esemplificativo, basti richiamare il contenuto della pagina dedicata a tale prodotto da Wikipedia: “La bresaola è un salume crudo e non affumicato originario dell'Italia settentrionale. Si compone delle pregiate masse muscolari salate ed essiccate del manzo. Si tratta di un alimento tipico della Valchiavenna e, più recentemente, della Val d'Ossola. In particolare la bresaola della Valchiavenna prodotta in Valchiavenna è riconosciuta come prodotto IGP; altre varianti, a seconda della geografia, prevedono bresaola di bufalo, cavallo, cervo, zebù, tacchino o maiale” [1].
Ai sensi dell’art. 17, paragrafo 1 del regolamento (UE) 1169/2011, pertanto, il salume corrispondente alla categoria “bresaola” può e deve essere presentato al consumatore con tale espressione, sia essa considerata denominazione usuale o denominazione descrittiva.
Il medesimo testo normativo impone, inoltre, di accompagnare il termine “bresaola” con la specificazione della specie animale da cui è ottenuta la materia prima, per esigenze di chiarezza imposte dall’articolo 17, paragrafo 1 (quale denominazione descrittiva che identifica la natura del prodotto) o, comunque, dall’articolo 7 e/o dall’allegato VI, parte A, paragrafo 4 (a titolo di informazioni integrative per prevenire ogni eventuale rischio di induzione in errore del consumatore).
Il concorso delle citate disposizioni rende, quindi, evidente come il regolamento (UE) 1169/2011 già disciplini in maniera completa ed esaustiva la denominazione dei salumi “bresaola” a base di carne suina, rendendo obbligatoria la loro identificazione con la denominazione “bresaola di suino”.
Pertanto, ai sensi dell’articolo 38, paragrafo 1, non vi è alcun ulteriore spazio di intervento per l’adozione delle disposizioni nazionali in esame, le quali, vietando l’impiego della denominazione “bresaola” per i prodotti ottenuti da suini, introdurranno una regolamentazione delle denominazioni diversa e contrapposta a quella derivante dal regolamento (UE) 1169/2011.
Senza considerare che il suddetto divieto si pone, altresì, direttamente in contrasto col il disposto dell’articolo 17, paragrafo 1 del regolamento, nella parte in cui preclude l’individuazione del salume con la propria denominazione usuale (“bresaola”) che è, invece, imposta dal Legislatore europeo.
L’approccio nazionale italiano, peraltro, si pone in contrasto con gli stessi obiettivi generali perseguiti dal regolamento (UE) 1169/2011, individuati dal suo articolo 3, in quanto idoneo a:
- per un verso, pregiudicare gli “interessi legittimi dei produttori”, vietando a tutti gli operatori che, da svariati anni, producono e commercializzano in Italia e negli altri Stati membri, “bresaola di suino” – inclusi i firmatari del presente contributo – la possibilità di continuare ad utilizzare tale denominazione per comunicare ai consumatori l’identità dei loro prodotti;
- per altro verso, impedire di fornire “ai consumatori finali le basi per effettuare delle scelte consapevoli”, privando questo ultimi della possibilità di individuare chiaramente i prodotti che, sino ad oggi, hanno identificato con la denominazione, ormai familiare, di “bresaola di suino”.
Il che dovrebbe precludere, in ogni caso, l’adozione del decreto in esame, anche tenuto conto dei principi sanciti dalla Corte di Giustizia UE con la sentenza “Granarolo” (causa C-394/01), la quale ha confermato come gli Stati membri, pur quando autorizzati ad introdurre regole nazionali su una specifica materia, debbano sempre astenersi dall’adottare disposizioni che possano compromettere il risultato prescritto dalla sovraordinata normativa unionale.
Tanto più che le restrizioni contenute nel progetto di regola tecnica appaiono, comunque, del tutto ingiustificate e sproporzionate, non emergendo dal progetto di regola tecnica alcuna evidenza di studi o valutazioni commissionati dal Governo italiano per appurare, per un verso, l’effettivo utilizzo della carne di suina nella produzione di “Bresaola” e, per altro verso, gli ipotetici rischi di ingannevolezza che deriverebbero dall’uso di tale termine per prodotti di carne suina.
2. Introduzione di ostacoli alla libera circolazione delle merci nel mercato interno.
Fermo quanto sopra, il progetto di regola tecnica determinerà plurime violazioni delle regole stabilite dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) in relazione alla libera circolazione delle merci.
In primo luogo, le sue disposizioni si pongono in contrasto con il divieto di misure ad effetto equivalente alle restrizioni quantitative all’esportazione, vietate dall’articolo 35 del TFUE.
L’articolo 34, comma 3 del decreto stabilisce infatti, in modo tassativo e generalizzato, che “il prodotto ricavato da animali diversi da bovino, equino e cervo o dai tagli di bovino, equino e cervo di cui al precedente comma 2, non è commerciabile con la denominazione «bresaola»”, senza prevedere, al contempo, alcuna esenzione per i salumi realizzati in Italia e commercializzati con destinazione finale in altro Stato membro.
È quindi da ritenere che i suddetti prodotti, pur essendo destinati al commercio nel mercato interno dell’Unione, potranno essere sottoposti alle restrizioni della nuova normativa, incluso – per quanto qui rileva – il divieto d’uso della denominazione “bresaola di suino” e l’obbligo del colore rosso della carne. Il che imporrà agli operatori italiani, per continuare ad identificare i propri salumi con tale denominazione (nota e familiare ai consumatori), il gravoso onere, per molti inaccessibile, di realizzare un ulteriore stabilimento sito in altro Paese UE.
Una tale restrizione, peraltro, neppure risulta concretamente giustificata dalla necessità di perseguire interessi pubblici preminenti, risultando del tutto inidoneo, a tal fine, il generico accenno, tra le premesse del decreto, alla “necessità di assicurare la trasparenza del mercato, di proteggere ed informare adeguatamente il consumatore”.
Invero – come già rilevato – non emerge dal documento la conduzione di alcun approfondimento o studio volto a comprovare, su base oggettiva e scientifica, la sussistenza di tali rischi di confusione per i consumatori, derivanti dalla denominazione “bresaola” oggetto di disciplina.
In ogni caso, anche a voler ammettere la sussistenza di tali esigenze pubblicistiche, l’iniziativa nazionale determina, nei confronti degli operatori, un pregiudizio ingiustificatamente sproporzionato rispetto al fine da perseguire.
L’interesse alla chiarezza delle informazioni sulla specie animale da cui è ottenuta la bresaola – per quanto qui rileva – è infatti già adeguatamente garantito dalla corretta denominazione del prodotto (“bresaola di suino”) come prescritta dal regolamento (UE) 1169/2011. Sotto tale profilo, quindi, non appare ragionevole l’introduzione di un radicale divieto all’impiego della carne di suino nella produzione di tale salume.
In secondo luogo, la nuova disciplina nazionale rischia di alterare il corretto funzionamento del mercato interno anche in violazione dell’art. 34 TFUE, attraverso l’introduzione di misure ad effetto equivalente alle restrizioni quantitative all’importazione.
Nonostante la clausola riportata all’articolo 49 del progetto (“le disposizioni del presente decreto non si applicano ai prodotti alimentari legalmente fabbricati e commercializzati in un altro Stato membro dell'Unione europea”), infatti, la normativa in progetto determinerà, comunque, un potenziale effetto dissuasivo all’acquisto dei prodotti “bresaola” (e “speck”, anch’essa nuova denominazione prevista nel decreto) realizzati negli altri Stati membri dell’Unione.
Appare infatti assolutamente probabile che gli standard nazionali connessi alla “bresaola” ed allo “speck” vengano percepiti, dai consumatori italiani, come garanzia di più elevata qualità e di maggior rigore nel processo produttivo a favore dei salumi realizzati in Italia rispetto agli omonimi prodotti esteri. Il che, chiaramente, incentiverà l’acquisto delle produzioni nazionali a scapito dei concorrenti di altri Stati membri.
Risulta quindi evidente il pregiudizio che, pur in via potenziale ed indiretta, le nuove norme comporteranno per la libera circolazione delle merci, con conseguenze che, secondo la stessa Corte di Giustizia UE, sono da ritenere incompatibili con le fonti primarie dell’Unione (significativo, in tal senso, il principio espresso nella sentenza “Pistre”, sulle cause riunite C-321/94, C-322/94, C-333/94, C-324/94: “l'applicazione del provvedimento nazionale può altresì incidere sulla libera circolazione delle merci tra gli Stati membri, in particolare quando tale provvedimento agevoli l'immissione in commercio delle merci di origine nazionale a scapito delle merci importate. In simili circostanze, l'applicazione del provvedimento, sia pure limitatamente ai soli produttori nazionali, fa sorgere e mantiene di per sé una differenza di trattamento tra queste due categorie di merci, ostacolando, per lo meno potenzialmente, gli scambi intracomunitari”.
Fermo quanto sopra, la misura italiana determinerà, ad ogni modo, anche un effetto non potenziale, bensì immediato e diretto, nei confronti degli operatori di altri Stati membri che abbiano stabilimenti di produzione siti nel territorio italiano, imponendo loro la realizzazione di nuove etichette per la commercializzazione dei prodotti di salumeria di tipo “bresaola” (nonché di tipo “speck”, anch’essa nuova denominazione prevista nel testo normativo).
Tutto ciò concorre a rendere assolutamente opinabile la compatibilità della nuova disciplina con i principi del mercato unico europeo.
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Tanto premesso, si confida che la Commissione e gli altri Stati membri intendano condividere e far propri i rilievi qui illustrati, sollecitando il ritiro del progetto di regola tecnica o, comunque, la sua modifica nel senso di consentire l’impiego della denominazione “bresaola” anche per prodotti di carne suina e di colore rosato.
In subordine, si evidenzia l’opportunità, quanto meno, di un rinvio nell’adozione del progetto, tenuto conto dell’attuale pendenza, dinanzi alla Corte di giustizia UE, di una questione pregiudiziale riguardante l’interpretazione degli articoli 7, 17 e 38 del regolamento (UE) 1169/2011 su profili analoghi a quelli evidenziati nel presente contributo. (causa C-438/23).